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Scajola: adesso incentivi all'ambiente

di Alberto Orioli

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27 DICEMBRE 2008

La speranza della green economy per il 2009

Cinque mosse per il futuro a zero emissioni

Dalle energie rinnovabili milioni di posti di lavoro

Risparmio energetico: sul 55% la partita è ancora aperta

COMMENTI / Dite la vostra sul 55%

Resta aperto il cantiere delle misure anti-recessione. E troverà attuazione nei correttivi al testo del decreto anti-crisi ora affidato all'esame della Camera. Dice il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola: "Ci sono alcuni emendamenti per il settore elettrico, per lo sgravio del 55% per chi investe in tecnologie che fanno risparmiare energia, per la messa a punto della fase attuativa dell'accordo Ue sul clima, per la revisione di alcuni incentivi ai settori industriali".

E per l'auto? Aiuti diretti o sgravi su tutti i comparti che riducono le emissioni di CO2?

Ci sono incentivi già funzionanti e che dureranno anche nel 2009 e nel 2010 e riguardano gli elettrodomestici. Ora scadono le cosiddette rottamazioni per auto e motocicli. Su questo vogliamo muoverci in sintonia con l'Europa: finora solo la Francia ha annunciato un piano che prevede mille euro di aiuti per ogni sostituzione. Naturalmente dobbiamo tutti aspettare quale sarà la vera mossa degli americani. Io non parlo di aiuti diretti, preferisco parlare di incentivi che si colleghino a tutto il pacchetto sul clima e sulla riduzione di consumo energetico. Dunque penso a un generale ammodernamento anche del settore auto e motociclo.

Gli americani però hanno già annunciato l'imminente svolta verso la "green economy". Come farà l'Italia a non perdere questo treno?

Intendiamo promuovere una decisa crescita dell'apporto delle fonti rinnovabili, idroelettrico compreso: si dovrà passare dall'attuale 15 al 25 per cento. La nostra azione si basa su stabilità nel sistema di incentivi, semplificazione amministrativa e innovazione tecnologica. Il sistema di incentivi è stato negli ultimi anni modificato in continuazione, magari anche in meglio per gli investitori, ma creando una tensione continua e una situazione di incertezza che, a lungo andare, deprimono gli investimenti. Abbiamo appena reso operativi gli incentivi introdotti dalla Finanziaria 2008, su cui crediamo di possa dare una prospettiva di lungo respiro all'intero settore. Occorre poi semplificare, d'intesa con le Regioni, le procedure autorizzative e, a questo scopo, presenterò quanto prima le linee guida per il procedimento di autorizzazione degli impianti, previste dal decreto legislativo n. 387 del 2003 ma ancora da emanare. Per rafforzare l'innovazione nell'industria delle rinnovabili, per le quali dipendiamo molto dall'estero, distribuiremo nelle prossime settimane i 200 milioni di incentivi del Programma "Industria 2015" per l'Efficienza energetica, tesa alla definizione di una piattaforma tecnologica industriale.

A proposito di "Industria 2015", cosa si aspetta dai nuovi bandi sulla Mobilità sostenibile?

Stiamo distribuendo 180 milioni di euro a 22 progetti. Abbiamo concluso l'esame dei progetti in soli 90 giorni, un record per la pubblica amministrazione, proprio per rendere immediatamente disponibili le risorse alle 250 imprese e cento università che hanno presentato i progetti. Ci attendiamo forti ricadute produttive su nuovi prodotti, come nuovi veicoli, nuovi motori, persino il vaporetto ecologico a celle di idrogeno e pannelli fotovoltaici, e nuovi sistemi per l'intermodalità e l'infomobilità. Seguiremo i progetti con un costante monitoraggio.

Fin qui la produzione. Ma i consumatori?

La stessa logica di sostegno bisogna utilizzare sul versante della domanda, promuovendo l'efficienza e il risparmio energetico. A fine maggio il Governo ha approvato un decreto legislativo che ha l'obiettivo di ridurre i consumi dell'1% l'anno fino al 2016. Daremo piena attuazione a questo provvedimento, potenziando il meccanismo dei certificati bianchi, che avevamo fatto partire nel 2005, e introducendo ulteriori incentivi per interventi che necessitano di supporto aggiuntivo. Quanto alle agevolazioni fiscali del 55% per interventi di efficienza energetica in edilizia, garantiremo le agevolazioni a tutti coloro che hanno già fatto l'investimento. Per il futuro dobbiamo conciliare queste agevolazioni, che debbono restare semplici, con l'esigenza di avere una copertura certa per il bilancio dello Stato.

È vero che il prezzo di equilibrio del petrolio è a 63 dollari?

Credo che la parabola dei prezzi del petrolio 2008 dia l'idea della straordinarietà della crisi e delle sue principali componenti. A gennaio il petrolio era a 80 dollari. A luglio è arrivato a 147, spinto dalla domanda delle economie emergenti e dalla speculazione. Oggi è intorno a 40 dollari per la recessione che attanaglia le economie di tutto il mondo. In luglio al vertice dei maggiori Paesi produttori e consumatori a Gedda il problema era quello di convincere l'Opec ad aumentare la produzione per ridurre i prezzi. Venerdì scorso abbiamo tenuto un analogo vertice a Londra e il problema era l'opposto: ridurre le quote per stabilizzare i prezzi anche per sostenere i redditi dei Paesi produttori e gli investimenti energetici mondiali. I Paesi produttori hanno parlato di un prezzo di equilibrio a 80 dollari (70 per l'ala più moderata), io e altri con me in Europa dico che il prezzo equo è intorno a 60 dollari. Solo così si mantiene la convenienza a fare ricerca e nuove esplorazioni, solo così ci sono anche i margini per investire nelle energie alternative (che diventano anti-economiche con il barile troppo basso pur lasciando i Paesi molto esposti alla volatilità dei corsi del greggio).

Come si conciliano con il nuovo scenario i progetti sul nucleare?

Rimangono tutte le ragioni di sicurezza energetica e di riduzione del rischio che hanno portato il Governo ad avviare il ritorno dell'Italia al nucleare per riequilibrare il mix delle fonti e delle tecnologie utilizzate. A ciò si aggiunge la necessità di ridurre le emissioni di CO2 senza deprimere la produzione industriale e quindi puntando su tecnologie di produzione di energia senza CO2. Ricordo che quando la Francia decise di investire massicciamente sul nucleare il petrolio era a 20 dollari. I francesi lo fecero per ragioni di sicurezza energetica e poi, quando il petrolio è aumentato, hanno anche avuto un grande beneficio economico.

In Italia già due Regioni (Emilia Romagna e Puglia) si sono dichiarate denuclearizzate. La Lombardia ci sta pensando. E se si scoprisse che uno dei siti ottimali per le nuove centrali è proprio in una di quelle Regioni?

Vedremo. Ognuno è responsabile delle sue azioni. La forza del buon senso e dell'intelligenza alla fine deve sempre prevalere. Noi non siamo diversi dagli altri: in tutto il mondo si investe sul nucleare pulito per cambiare il mix energetico e per rispettare di più l'ambiente. Se scoprissimo che l'ottimo è costruire una centrale in Emilia? Vedremo, il percorso di scelta sarà fatto sulla base della massima trasparenza e di inoppugnabili motivazioni di mercato.

Nuova crisi tra Russia e Ucraina. Nuovo rischio di restare senza gas.

Ci conferma quanto sia necessario avere un vera politica energetica: dipendiamo troppo dagli umori degli altri. Ci siamo già passati troppe volte nel corso della storia. Ci vuole un piano energetico con un mix che riduca la dipendenza dall'estero. Quanto al caso contingente, tengo monitorato quotidianamente l'andamento dei valori dei consumi, ma è tutto sotto controllo. L'inverno mite in tutta Europa e in Russia, il livello di stoccaggio del gas in Italia non ci hanno ancora indotti ad aumentare le quantità importate da altre zone del mondo.

Anche perché il Governo amico della Russia non la prenderebbe bene...

Inutile dire che il nostro monitoraggio sulle quantità è accompagnato da una intensa attività diplomatica sia con la Russia, sia con l'Ucraina, basata proprio sui buoni rapporti tra l'Italia e quei Paesi.

I distretti delle produzioni tradizionali del made in Italy pagano l'urto della crisi. Qual è l'azione di risposta che il Governo mette in campo per arginare il declino?

Per i distretti abbiamo impostato una doppia strategia. Superare i limiti fisici del distretto per realizzare integrazioni sempre più forti tra le filiere, dalla ricerca alla commercializzazione: nel disegno di legge Sviluppo già approvato alla Camera e ora in discussione al Senato abbiamo inserito agevolazioni contributive, fiscali e amministrative per le "reti d'impresa". La seconda via è quella dell'innovazione per aumentare sempre più la qualità dei prodotti e dei processi produttivi del made in Italy. All'inizio di dicembre si è chiuso il bando Nuove tecnologie per il made in Italy di "Industria 2015" al quale hanno partecipato ben tremila imprese e mille centri di ricerca che hanno presentato 429 progetti. Entro la primavera selezioneremo i progetti e distribuiremo i 190 milioni di incentivi previsti.

Non sarebbe importante reintrodurre la detassazione degli utili reinvestiti?

Tutti conoscono la situazione del bilancio dello Stato. Tuttavia la capitalizzazione delle piccole imprese resta un problema che il Governo sta studiando nel quadro delle compatibilità macroeconomiche. Nei primi mesi del 2009, comunque, entrerà in vigore il Fondo Finanza d'impresa che prevede interventi per favorire la capitalizzazione e patrimonializzazione delle piccole aziende da parte di banche e investitori istituzionali con la partecipazione dello Stato. Confido che il sistema produttivo lo utilizzerà, aprendo il proprio capitale all'ingresso di nuovi investitori e consentendo così maggiori investimenti e crescita dimensionale delle imprese.

Il settore del turismo chiede di portare l'Iva al 5%. È possibile secondo lei?

Il rilancio del turismo è decisivo per l'Italia. La riduzione dell'Iva deve sempre tener conto della condizione della finanza pubblica e delle compatibilità europee. Penso che ci siano molte cose che si possono fare per aumentare la nostra attrattività turistica, soprattutto in termini di miglioramento dei servizi di accoglienza. Il Governo ha avviato a soluzione il problema Alitalia, che è una risorsa turistica fondamentale e stiamo lavorando a un bando di Industria 2015 per l'innovazione nell'industria turistica. E moltissimo si può fare a livello regionale e comunale.

Un piccolo imprenditore (Paolo Bastianello) scrive al Sole 24 Ore: siamo vittime di una finanza criminale. Concorda? Quali sono i correttivi utili a reintrodurre una primazia dell'industria sulla finanza?

La finanza è essenziale per la crescita dell'economia. Ma se non mantiene un costante ancoraggio all'economia reale rischia di impazzire, come la maionese. Ciò che è accaduto negli Stati Uniti deriva da una carenza di regole e di controlli. Il fatto che le banche e le assicurazioni italiane non abbiano registrato gli eccessi statunitensi deriva anche dal fatto che il nostro quadro normativo e regolatorio è più severo di quello americano. Credo che si debba avviare un processo di regolamentazione della finanza mondiale che da una parte eviti gli eccessi degli ultimi anni, ma dall'altro non faccia mancare all'economia reale i mezzi finanziari di cui ha bisogno per svilupparsi. È un equilibrio delicato e il nostro Governo, che nel prossimo anno ha la presidenza del G8, sarà in prima fila in quest'opera di ricostruzione dell'architettura finanziaria mondiale.

Che effetto le ha fatto vedere che solo Tanzi è stato condannato per il crack Parmalat e che le banche non hanno avuto alcuna responsabilità accertabile?

Non mi permetto di giudicare le sentenze, che del resto sono appellabili proprio per correggere eventuali errori. Ci sarà un processo anche a Milano e mi auguro che tutte le eventuali responsabilità vengano scoperte e sanzionate secondo la legge.

Il senatore Casoli (Pdl) ha lanciato una nuova idea di settimana corta per ridurre il numero di esuberi causati dalla crisi internazionale. Ha trovato un discreto ventaglio di consensi, anche se molto articolati al loro interno. Lei che ne pensa?

Personalmente ritengo che per produrre di più bisogna lavorare di più e questo è, in generale, il problema dell'Italia. Se poi, in periodi di particolare difficoltà, diventa ragionevole affrontare la crisi con la terapia della riduzione dell'orario allora nulla vieta di provare. Sapendo che occorre tutelare il posto di lavoro senza però rinunciare alla produttività.

 

 

 

 

La speranza della green economy per il 2009

di Marco Magrini

24 Dicembre 2008

Cinque mosse per il futuro a zero emissioni

"Milioni di posti di lavoro"

Risparmio energetico: sul 55% la partita è ancora aperta

COMMENTI

Dite la vostra sul 55%

Nel deserto del New Mexico, non lontano dal pueblo indiano di Taos, c'è una specie di città nascosta. La chiamano Earthship, "navicella Terra": un centinaio di case che punteggiano a perdita d'occhio una distesa di arbusti, completamente scollegate dai servizi pubblici eppure energeticamente indipendenti. "Ognuna si produce l'elettricità, raccoglie l'acqua, regola la temperatura e gestisce gli scarichi da sola", racconta fiero Michael Reynolds, l'architetto ambientalista che, da fine anni 70, ha fatto crescere pian piano Earthship nel bel mezzo del nulla. Una sorta di utopico paradigma della sostenibilità, spuntato nel ventre del Paese più energivoro al mondo.

Eppure, nel 2009 che va a incominciare, l'America - mille miglia lontana da quel modello - volgerà idealmente lo sguardo verso Earthship, per incamminarsi, anche solo un po', nella sua direzione. "I cambiamenti climatici e la nostra dipendenza dal petrolio d'importazione sono due problemi che, se lasciati ancora senza risposta, continueranno a indebolire la nostra economia e a minacciare la sicurezza nazionale. Tutto questo cambierà. Con la mia presidenza, l'America guiderà la lotta ai cambiamenti climatici, rafforzando la nostra sicurezza e creando in questo modo milioni di nuovi posti di lavoro". Più chiaro di così, Barack Obama non poteva essere. D'improvviso, il 20 gennaio, gli Stati Uniti dismettono l'unilateralismo tranchant di Bush e si allineano all'Europa - sin qui la paladina, nella lotta al clima - e perfino alla Cina, che non fa più mistero di temere l'effetto-serra e di scommettere sul ritorno economico delle nuove energie. Al che, i Paesi del mondo, dopo dieci anni di fallimenti, al vertice 2009 di Copenhagen avranno qualche chance in più di raggiungere un accordo sui tagli alle emissioni di CO2. Ma quello sarà solo l'inizio.

Tutto dipende dall'angolo di osservazione. E, al momento, si vede solo una salita, anche piuttosto impervia. Come dice qualcuno, c'è da "decarbonizzare" l'economia. Per transitare da un mondo dipendente da petrolio, gas e carbone - che all'atto della combustione producono anidride carbonica - a un mondo energeticamente più sostenibile, c'è da fare una vera rivoluzione. C'è da investire pesantemente sulle rinnovabili - sole, vento, maree, calore della Terra - ben sapendo che, col progresso scientifico e le economie di scala, ogni tecnologia sarà sempre più efficiente e meno costosa. "Il fotovoltaico è già abbastanza efficiente da risolvere il problema", assicura Jeremy Leggett, fondatore dell'inglese SolarCentury, incontrato al recente vertice climatico di Poznan. "Il silicio si fa dalla sabbia: con un piano coordinato a livello mondiale, potremmo coprire il Pianeta di pannelli solari".

Sì, ma bisogna anche investire nell'infrastruttura verde. Nuove soluzioni per il trasporto di massa. Nuovi edifici sostenibili. E soprattutto una nuova rete elettrica, resa intelligente dai microprocessori, capace di gestire la distribuzione della corrente in modo da compensare le oscillazioni delle rinnovabili (di notte non c'è sole e anche il vento cala). "La soluzione sta in una nuova rete che combini la trasmissione di elettricità da distanze remote, per l'idroelettrico islandese o il futuribile solare del Sahara, con la gestione intelligente delle microproduzioni di energia su scala locale", osserva Antonella Battaglini del Potsdam Institute for Climate Research, inventrice di quest'idea, il Super-smart-grid, che ha già destato le attenzioni di Bruxelles.

Ma l'efficienza è un capitolo a sé. Senza nessun bisogno di ritoccare gli stili di vita, il mondo ricco deve investire nelle tecnologie (e nella cultura) dell'efficienza. Qui Obama, che guida il Paese più sprecone del mondo, parte fatalmente avvantaggiato. Ma è una soluzione universale. "Il solare sarà anche economicamente interessante, ma è l'efficienza che offre i ritorni maggiori", assicura Russel Mills della Dow Chemical, anche lui a Poznan per diffondere la buona novella. "Dalle soluzioni che abbiamo adottato per aumentare l'efficienza energetica, abbiamo risparmiato quattro volte più del previsto: 7 milioni di dollari. E abbiamo risparmiato 70 milioni di tonnellate di CO2 all'atmosfera".

Da qui, discende un semplice insegnamento: si può consumare meglio. E riciclare di più. Il riciclo su scala industriale risparmia energia - e quindi anche denaro e CO2 - e dà lavoro a più braccia. Obama si dice certo che la sua svolta verde produrrà "milioni di posti di lavoro". La sua idea è quella di usare il pacchetto di stimoli all'economia - simile a quello previsto da tutti i Governi occidentali - per cogliere al tempo stesso l'occasione di "decarbonizzare" l'economia americana. A questa schematica roadmap verso l'economia verde o - a voler essere più pomposi - verso una nuova rivoluzione industriale, ci permettiamo di aggiungere un quinto passaggio. Perché non cogliere un'altra occasione e ridurre un po' le inequità del Pianeta? Un trasferimento tecnologico verso i Paesi poveri sarà quasi certamente incluso nel Protocollo di Copenhagen. Ma grandi impianti nel deserto del Sahara, che mietono i fotoni solari e spediscono elettroni verso l'Europa, potrebbero portare ricchezza e occupazione anche a quelle latitudini. Così come grandi coltivazioni di piante che producono olio combustibile, come la jatropha (non commestibile, adatta ai climi tropicali), potrebbero portare soldi e lavoro proprio all'Africa che ne ha di meno.

La strada è in salita, ma non siamo sul fondo della valle. In questi dieci anni di dibattito politico sul climate change, la scienza e la tecnologia - sospinte dai capitali privati e dagli incentivi pubblici - hanno già fatto passi da gigante. Per dirla con la battuta che dava il titolo al primo film di Massimo Troisi: "No, da zero no. Ricomincio da tre". In effetti, per capire il problema, bisogna dare un po' di numeri. Oggi, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è di 385 parti per milione (ppm). Secondo il consenso degli scienziati, non bisogna superare le 450 ppm se vogliamo evitare che la temperatura media cresca di oltre due gradi dall'era pre-industriale (è già salita di 0,7). Ma c'è chi dice che i due gradi sono già inevitabili e che dovremmo puntare a 350 ppm. L'Unione Europea s'è data un obiettivo di medio termine, il 2020, per avere il 20% di rinnovabili, un 20% di efficienza in più e un 20% di emissioni in meno. Ma intanto ci sono Stati membri, come l'Irlanda, che giurano di puntare al 40% di rinnovabili entro 12 anni. Obama, gettando il cuore oltre i suoi due possibili mandati presidenziali, proclama un taglio delle emissioni dell'80% entro il 2050.

Peccato che si tratti di un bersaglio in movimento. Secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia, a metà secolo il mondo avrà bisogno di 14,3 milioni di tonnellate di petrolio o equivalenti, contro gli attuali 11,7. "Il basso prezzo del petrolio - commenta il direttore Nobuo Tanaka - sta rallentando gli investimenti nei giacimenti petroliferi con il risultato che, quando i consumi riprenderanno a volare, avremo prezzi alle stelle e possibili problemi con gli approvvigionamenti". Tanaka stesso, il guardiano degli interessi petroliferi dell'Occidente, chiede ai Governi di buttarsi sulle rinnovabili, in nome della sicurezza climatica ed energetica. Il guaio è che, col prezzo del barile precipitato a 40 dollari, sono rallentati anche gli investimenti sulle nuove energie.

Siamo ancora solo all'inizio della salita ma, da quest'altezza, si possono già vedere i vantaggi in prospettiva: se Danimarca e Germania hanno le imprese leader nell'eolico e nel solare, è solo perché l'hanno deciso oltre dieci anni fa. L'ottimismo del fare sembra avere la meglio sul pessimismo del non-fare. Nel 2009, complice la redenzione del primo inquinatore del mondo, comincia - chissà quanto speditamente - il cammino planetario verso l'economia a bassa intensità di carbonio. L'utopia di Earthship resterà lì, nel deserto, a disegnare silenziosa i confini del possibile. Ci vorrà un po' di tempo. Ma è assai facile che verranno superati.

 

 

 

 

 

Cinque mosse per il futuro a zero emissioni

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26 dicembre 2008

SCOCCA L'ORA DELLE RINNOVABILI

Sole, vento, maree, calore della Terra. Con il progresso scientifico e le economie di scala, ogni tecnologia sarà sempre più efficiente e meno costosa. "Il fotovoltaico è già abbastanza efficiente da risolvere il problema energetico – afferma Jeremy Leggett, Ceo di SolarCentury – È il momento di investire".

L'INFRASTRUTTURA VERDE DA COSTRUIRE

Nuove soluzioni per il trasporto (come questo modello di Tesla Motor, l'auto elettrica "da corsa"). Nuovi edifici sostenibili. E una nuova rete elettrica, resa intelligente dai microprocessori, capace di gestire la distribuzione della corrente. Sono esempi della nuova infrastruttura verde, tutta da costruire.

LA RIVOLUZIONE DELL'EFFICIENZA

"È l'efficienza che offre i migliori ritorni sugli investimenti - assicura Russel Mills della Dow Chemical (nella foto un impianto) - Dalle soluzioni adottate per aumentare l'efficienza energetica, abbiamo risparmiato quattro volte più del previsto: 7 milioni $". La tecnologia ha larghi spazi di manovra.

CONSUMARE MEGLIO, RICICLARE DI PIÙ

Earthship, nel New Mexico, è una specie di città sparsa nel deserto, dove ogni casa è costruita per essere energeticamente autosufficiente e completamente a impatto zero (www.earthship.org). Anche l'industria, però, sta imparando che, riciclando di più, si risparmia energia e si offrono posti di lavoro.

UN'OCCASIONE PER L'EQUITÀ

La Jatropha, una pianta dalla quale si ricava un eccellente olio combustibile (qui fotografata in un vivaio di Arusha, in Tanzania), cresce nelle zone tropicali e non è commestibile (quindi non può fare concorrenza al cibo). Potrebbe essere un'eccellente soluzione per diffondere ricchezza e lavoro nell'area più povera del mondo.

 

 

 

 

Dalle energie rinnovabili milioni di posti di lavoro

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24 Dicembre 2008

 

Ma sarà possibile creare milioni di posti di lavoro investendo nelle energie rinnovabili? Le Nazioni Unite assicurano di sì. In un recente rapporto sui green jobs pubblicato dall'Unep, il programma ambientale dell'Onu, i lavoratori "verdi" sarebbero già oltre due milioni nel mondo, inclusi gli agricoltori che coltivano le piante per i biocarburanti. Da qui al 2030, sostengono all'Unep, potranno diventare oltre venti milioni: 6,3 nel solare, 2 nell'eolico, 12 milioni e passa nei biofuel.

"Uno dei modi più rapidi e costruttivi per rimettere in piedi i mercati e l'occupazione – osserva Achim Steiner, giovane e dinamico direttore esecutivo dell'Unep – è spendere il denaro previsto dai pacchetti di stimolo all'economia di diversi Paesi in progetti per l'efficienza energetica. Ci vogliono investimenti sull'infrastruttura energetica, sui contatori di elettricità intelligenti, sull'isolamento delle abitazioni e su apparecchi che consumano meno corrente".

Vista dall'ottica del Palazzo di Vetro – o forse meglio dall'ottica di Nairobi, in Kenya, dove ha sede l'Unep – le opportunità sono per tutti. "L'energia rinnovabile, uno dei modi più rapidi per fornire l'energia a quei due miliardi di individui che non ce l'hanno – prosegue Steiner, incontrato al vertice climatico di Poznan – dà già lavoro a quasi mezzo milione di persone fra Danimarca e India, Germania e Cina. Che diventano un milione se si aggiunge il solare per il riscaldamento dell'acqua". Imprimendo un forte impulso a eolico e solare, dice il diplomatico tedesco, in vent'anni potrebbero dare 8,5 milioni di posti di lavoro. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, annuisce e applaude.

Lo scorso ottobre, l'Unep ha lanciato la sua iniziativa verde, battezzata Global green new deal: il nuovo patto globale per l'economia verde. E la cosa ha preso piede. "Abbiamo l'opportunità storica di trasformare in meglio le nostre società", ha dichiarato – sempre a Poznan – Guy Ryder, segretario generale dell'Ituc (International trade union confederation), la confederazione mondiale dei sindacati. "A maggior ragione in un periodo di crisi, il Green new deal potrà essere la base di una ripresa che generi occupazione contribuendo, al tempo stesso, a combattere i cambiamenti climatici".

Se il presidente degli Stati Uniti, il segretario generale dell'Onu e perfino i sindacati sono d'accordo, l'economia sostenibile – e quindi verso i green jobs – sembrerebbe un destino ineluttabile. Aggiungiamo pure che anche la Cina è in sintonia e lo scenario è praticamente completo. "Dobbiamo ancora portare milioni di persone fuori dalla soglia della povertà – dice Su Wei, dell'Istituto nazionale per le risorse di Pechino – e lo faremo anche diventando leader nell'eolico e nel solare".

Sarà perché l'atmosfera è la ricchezza più "globalizzata" che abbiamo, fatto sta che le vie dei green jobs sono davvero infinite. "La deforestazione – dice Steiner a titolo d'esempio – pesa per circa il 20% sullo squilibrio dei gas-serra. Un investimento fra i 17 e i 33 miliardi di dollari potrebbe bastare a dimezzarla, offrendo al tempo stesso lavoro e salari a comunità rurali e a popoli indigeni". Però, se il Green new deal vuole vincere la sfida, dovrà riuscire a creare occupazione anche nel Nord ricco del mondo. (di M. Mag.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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